giovedì 18 aprile 2024

I Won't Back Down - Tom Petty (MCA, 1989)

 


Nel 1988, prima dell’inizio delle sessioni di registrazione di Full Moon Fever, un piromane diede fuoco alla casa di Tom Petty mentre si trovava lì con la sua famiglia e la loro governante. Il musicista e la sua famiglia riuscirono a mettersi in salvo, ma Petty rimase talmente scosso dalla vicenda, da trascorrere gran parte dei mesi successivi tra camere d'albergo e una casa in affitto. Non più una dimora fissa, ma tanti diversi luoghi, molti dei quali abitati per periodi di tempo brevissimi, verso i quali il songwriter si spostava alla guida della sua macchina.

Fu proprio durante questi spostamenti che Petty ha composto molte delle canzoni per il suo primo album solista. Quell’incendio, il terrore che ne derivò, la sensazione di essere sotto attacco ebbero un'enorme influenza su ciò che stava scrivendo, e specialmente su questa canzone. Petty si sentiva grato di essere vivo, ma anche traumatizzato, cosa comprensibile considerando che qualcuno aveva tentato di ucciderlo. I Won't Back Down (Non mi tirerò indietro) rappresentò, in buona sostanza, un modo di rivendicare la sua vita e superare il tormento, perché quella canzone aveva su di lui uno stranissimo effetto calmante.  

Il piromane che attentò alla vita di Petty non fu mai catturato, il che rese lo stato d’animo del musicista ancora più irrequieto. Soprattutto, perché dei sospetti su chi fosse l’autore del gesto, o quanto meno chi fosse il mandante, esistevano ed era assolutamente plausibili. Undici giorni prima dell’incendio, infatti, Petty aveva vinto una causa contro la società di pneumatici B.F. Goodrich per un milione di dollari. La Goodrich voleva usare la canzone di Petty, Mary's New Car, in uno spot televisivo e, quando il musicista si rifiutò, l’agenzia pubblicitaria dell’azienda mandò in onda una canzone, commissionata per l’occasione, praticamente identica al brano di Petty. Il giudice investito della causa diede ragione al musicista e condannò l’azienda a un lauto risarcimento.

I Won’t Back Down fu il primo singolo tratto da Full Moon Fever, e fu scritto e prodotto da Petty insieme all’amico Jeff Lynne. Quando, però, il brano venne presentato, insieme ad altre canzoni, alla casa discografica del tempo, la MCA Records, i dirigenti dell’etichetta rimandarono il materiale al mittente, sostenendo che fosse pessimo. Dopo sei mesi, le stesse canzoni, più o meno nella stessa forma, vennero ripresentate alla MCA. Questa volta, però, ad ascoltare erano altri dirigenti, che, entusiasti, diedero l’ok a Petty per la pubblicazione dell’album. In realtà, lo stesso musicista, almeno all’inizio, pur apprezzandone gli effetti catartici, non era convintissimo di I Won’t Back Down, perché la riteneva una canzone troppo personale. Durante un’intervista alla rivista Harp, rilasciata nel 2006, Petty disse: ”Quella canzone mi ha spaventato quando l'ho scritta... pensavo che non fosse così bella perché era così nuda, diretta... ho avuto molti ripensamenti riguardo alla registrazione di I Wonìt Back Down, ma tutti intorno a me dicevano che era davvero bella e alla fine tutti avevano ragione: più persone si identificano in quella canzone più di qualsiasi cosa io abbia mai scritto. Sono ancora continuamente stupito dal potere che ha una piccola canzone di 3 minuti."

Com’era prevedibile, alcuni politici hanno utilizzato la canzone di Petty per le loro campagne elettorali. Quando George W. Bush lo usò durante la sua campagna presidenziale del 2000, Petty minacciò di fare causa, poiché trovava Bush odioso. Per uno scherzo del destino, Bush, che smise di usare la canzone, vinse però le elezioni, proprio grazie al voto della Florida, lo stato natale di Petty.  I Won’t Back Down fu usata anche da Donald Trump durante una manifestazione elettorale molto pubblicizzata a Tulsa, Oklahoma, il 20 giugno 2020. La vedova del musicista, Dana, l'ex moglie Jane e le figlie Adria e Anna Kim protestarono rilasciando un duro comunicato, in cui manifestarono senza mezzi termini il loro dissenso: "Sia il defunto Tom Petty che la sua famiglia si oppongono fermamente al razzismo e alla discriminazione di qualsiasi tipo", scrissero. "Tom Petty non vorrebbe mai che una sua canzone fosse usata per una campagna di odio. Gli piaceva unire le persone. Tom ha scritto questa canzone per i più deboli, per l'uomo comune e per TUTTI."

Niente di più vero. Petty, infatti, suonò il brano il 21 settembre 2001 durante una maratona Telethon a beneficio delle vittime degli attacchi terroristici contro l'America. E ancora. Tom Petty è morto il 2 ottobre 2017, il giorno dopo il massacro al festival Route 91 Harvest di Las Vegas, dove morirono ben cinquantotto persone. Il 7 ottobre, il musicista country Jason Aldean, che era sul palco durante la sparatoria, aprì il Saturday Night Live con una performance di questa canzone, sia come tributo a Petty che come invito a resistere alla violenza, a restare uniti. "Quando l'America è al suo meglio, il nostro legame e il nostro spirito sono indistruttibili", disse prima di suonarla. Infine, nel febbraio 2023, una versione di I Won't Back Down, eseguita da Blake Shelton, Joe Walsh, Timothy B. Schmit e Matt Sorum è stata pubblicata online a beneficio dell'organizzazione The Miraculous Love Kids, che sostiene ragazze e giovani donne in Afghanistan.

 


 

 

Blackswan, giovedì 18/04/2024

martedì 16 aprile 2024

Juan Gomez-Jurado - Cicatrice (Fazi, 2023)


 

Simon Sax si potrebbe considerare un ragazzo fortunato: programmatore informatico americano, genio della matematica, a soli trent’anni sta per diventare miliardario. È infatti a un passo dal concludere un affare che gli cambierà la vita: venderà la sua grande invenzione – un sofisticato software – a una multinazionale. Eppure non è felice. Si sente solo. Il suo successo fa a pugni con una totale assenza di abilità in ambito sociale: le ragazze, per lui, sono sempre state una meta irraggiungibile. Finché un giorno supera i suoi pregiudizi ed entra in un sito di incontri dove conosce l’ucraina Irina, e comincia a sognare un futuro con lei nonostante le migliaia di chilometri che li separano. Ma Irina, il cui volto è segnato da un’enigmatica cicatrice, porta con sé un oscuro segreto: dietro quella ferita si cela più di quanto Simon possa immaginare, e innamorarsi di lei è solo il primo di una lunga serie di errori...

Con Cicatrice Gomez-Jurado abbandona l’amata Madrid e sposta l’ambientazione negli Stati Uniti, per la precisione a Chicago. Non solo, perché l’intreccio, che si sviluppa tra presente e passato, trova i suoi snodi narrativi anche nei Carpazi, in Ucraina e in Afghanistan.

E’ questa la prima peculiarità di un thriller ad alta tensione, che mette a contatto il mondo della programmazione informatica con quello della spietata mafia russa, due universi apparentemente inconciliabili, a cui lo scrittore spagnolo ha dedicato un certosino lavoro di ricostruzione e approfondimento, prima di procedere alla stesura del romanzo. Non è un caso che alcuni dei personaggi e degli eventi narrati trovino ispirazione da fatti realmente accaduti, mentre le pagine dedicate alla realizzazione di un sofisticato software, che potrebbe cambiare per sempre la vita di Simon Sax e del suo fedele amico Tom, riescono a essere comprensibili anche a tutti coloro che non masticano la materia.

Questo preliminare lavoro di studio, indispensabile per rendere credibile lo sviluppo della storia, è il carburante nobile di un romanzo che, come sempre, non lesina adrenalina e colpi di scena, oltre a risultare estremamente attrattivo per chi ama il genere, soprattutto nella parte dedicata a Irina e al suo mentore Lazar Kosogovsky, chiamato l’afghano, che, a costo di grandi sacrifici, trasforma la gracile bambina in una vera macchina da guerra pronta alla vendetta.

Non c’è nulla di particolarmente originale in questa storia tutto sommato prevedibile, che però riesce ad appassionare grazie all’abilità di Gomez-Jurado di comporre un puzzle realistico e avvincente, e grazie anche alla consueta prosa coloratissima, rapida e al contempo profonda, e ricca di quelle sfumature ironiche (il protagonista è un nerd sovrappeso incapace di rapportarsi al mondo che lo circonda) che da sempre contraddistinguono le opere dello scrittore madrileno.

Rispetto ad altri romanzi, manca in Cicatrice l’efficace approfondimento psicologico dei personaggi che, a parte il protagonista Simon, restano tutti abbastanza sfumati e privi di autentico spessore. Poco importa: se il lettore cerca solo il puro intrattenimento, qui ne troverà a iosa, tanto che ad arrivare alla fine delle quattrocento pagine del romanzo ci si impiega un lampo.

Blackswan, martedì 16/04/2024

lunedì 15 aprile 2024

Jesper Lindell - Before The Sun (Gamlestansm 2024)

 


Jesper Lindell non ha avuto quella che si dice una vita facile. Giovane promessa del calcio svedese (lui è originario della contea di Dalarma) ha dovuto fare i conti con un grave incidente di gioco che ha messo fine alla sua carriera sportiva. Dedicatosi anima e corpo alla musica, grazie anche all’interesse del fratello maggiore, la sua ascesa artistica è stata frenata dalla pandemia e dal lockdown, e poi, più o meno nello stesso periodo, una grave malattia renale congenita l’ha costretto a un anno di dialisi e successivo trapianto. Sembrerebbe una frase banale e retorica, ma nel suo caso suona, invece, quanto mai sincera: la musica salva la vita. Perché i suoi sogni e la sua passione sono state la forza propellente che gli ha permesso di superare tutto, di uscire dal pantano delle depressione e scrivere canzoni bellissime, come quelle contenute in questo suo terzo album, intitolato Before The Sun.

Lindell, dicevamo, è svedese, ma davvero, ad ascoltare la sua musica, non lo diresti mai; sembra semmai un musicista cresciuto nei dintorni di Muscle Shoals, e che ha passato tutta la vita ad ascoltare i dischi di Van Morrison, della Band e, perché no, di Paolo Nutini. Before The Sun si sviluppa sulla scia del precedente Twilights, un disco di divertente e solare rock soul (con un tocco di country e un altro di pop), in cui il musicista svedese e la sua band sono fiancheggiati dalla Brunnsvik Horns, sezione fiati che prende il nome dal luogo in cui l’album è stato registrato.

La scaletta si apre con il singolo "One Of These Rainy Days", una canzone che guarda al futuro con speranza, dopo tutto il dolore e i problemi affrontati: chitarra acustica, fantastica linea di basso, organo vorticoso, pianoforte, arrangiamento di fiati e ottimo lavoro alla chitarra. Si sentono echi di Van Morrison, si sentono echi della Band (altra evidente fonte d’ispirazione), ma si sente soprattutto la gioia di un gruppo che si diverte a suonare col sorriso sulle labbra.

Non c’è un momento di stanca in queste dieci canzoni cesellate con cura artigianale, sia quando Lindell duetta nella superba "A Strange Goodbye" con Kassi Valazza, giovane promessa country americana, o omaggia i Thin Lizzy con appassionata rilettura di "Honesty Is No Excuse", sia quando si abbandona allo swing giocoso di "Good Evening", trainata di uno straordinario assolo di pianoforte ad opera di Carl Lindvall.

Dopo una vita travagliata, ora Jesper Lindell è un musicista in ascesa, se ne sono accorti in Svezia e, probabilmente, se ne accorgeranno anche negli Stati Uniti, patria putativa di questo straordinario musicista, che ha messo i propri affanni esistenziali al servizio di canzoni vibranti, intense e, prevalentemente, divertenti, a dispetto del buio che ha preceduto l’arrivo del sole. L’ascolto è consigliatissimo: difficile trovare in giro tanta sincera passione e consapevolezza nel rileggere una musica dal nobile pedigree, che mai come in Before The Sun suona ancora fresca e ancora indispensabile.

Voto: 8

Genere: Rock, Soul

 


 


Blackswan, lunedì 15/04/2024

giovedì 11 aprile 2024

Blackberry Smoke - Be Right Here (3 Legged Records/Thirty Tigers, 2024)

 


L’indubbio merito dei Blackberry Smoke è quello di fare sempre lo stesso album, senza tuttavia mai annoiare. Ripetersi, ma con brillantezza, grazie a un sognwriting sempre a fuoco e a una line up affiatatissima, vera e propria macchina da guerra che tratta una materia risaputa con vibrante trasporto.

Dopo aver registrato il loro settimo disco, You Hear Georgia, durante il periodo più intenso e restrittivo della pandemia da Covid, i ragazzi georgiani avevano scelto di rimandare la pubblicazione di quell’album finché non fosse stato sicuro tornare a suonare dal vivo. Un approccio simile è stato utilizzato anche per questo nuovo Be Right Here, la cui scaletta è stata completata quasi un anno fa, ma tenuta nel cassetto fino a ora, a causa del tumore al cervello che ha colpito il batterista Brit Turner, ancora in cura, ma comunque membro stabile della band.

Prodotto come il suo predecessore da Dave Cobb, e registrato principalmente al leggendario RCA Studio A di Nashville, Be Right Here è la naturale appendice del suo predecessore, un disco, cioè, di southern rock, con una forte impronta blues, che suona famigliare e al contempo fresco, confermando i Blackberry Smoke tra i migliori interpreti del genere oggi in circolazione.  

Il marchio di fabbrica è immediatamente evidente nei tre brani di apertura: "Dig A Hole" apre le danze con un pesante riff psichedelico che fa da contrappunto alla voce aspra di Charlie Starr, sulla base di una ritmica quadratissima, il tiro di "Hammer And The Nail" è maledettamente blue collar, mentre un favoloso suono slide leviga la melodia piaciona di "Like It Was Yesterday". Un inizio che crea un contesto classicissimo e famigliare, tratteggiato da un quintetto che, tuttavia, plasma il suono southern con una consapevolezza superiore.

Con la quarta traccia, "Be So Lucky", il ritmo vertiginoso della prima parte rallenta, confluendo in un rock melodico in stile Tom Petty, echi vagamente psichedelici, ritornello orecchiabilissimo e un intrigante suono di chitarra. La successiva "Azalea", uno degli high light del disco, è una morbida ballata acustica che evoca il ricordo degli Allman Brothers, mentre sapienti tocchi di mandolino aggiungono colore e nostalgia al brano.

Il disco prosegue sulle note del country rock vibrante "Don't Mind If I Do", autentico divertissement trascinato da un ritornello contagioso, mentre in "Watchu Know Good" la band si immerge fino alle ginocchia in acque paludose, il groove è lento ma ficcante, la slide pigra ed evocativa. Chitarra slide che è protagonista anche della successiva "Other Side Of The Light", altra perla melodica, mentre la seguente "Little Bit Crazy" sfoggia un profondo retroterra gospel prima che parta un riff sudatissimo che sembra preso dal repertorio di Keith Richards.

La ballata "Barefoot Angel" chiude la scaletta con un tocco di malinconia soul, e mette in luce le ottime doti vocali di Starr, che insuffla pathos in un brano tutto sommato prevedibile.

Be Right Here è un album che mette in mostra orgogliosamente le radici southern dei Blackberry Smoke, non vuole innovare né rivoluzionare, semmai cerca, riuscendoci, di dare brillantezza a un genere risaputo, ma che la band originaria della Georgia riesce a proporre con incredibile efficacia. Si, è vero, è sempre lo stesso disco, ma grazie anche alla manina santa di Cobb, queste canzoni rifulgono di luce propria, collocandosi in un limbo senza tempo, in cui passato e presente si fondono in un connubio di suggestiva bellezza.

Voto: 7,5

Genere: Southern Rock

 


 

 

Blackswan, giovedì 11/04/2024

martedì 9 aprile 2024

Car Wheels On A Gravel Road - Lucinda Williams (Mercury, 1998)

 


Quando nel 2002 il prestigioso periodico Time elegge Lucinda Williams miglior cantautrice d'America, nessuno si stupisce più di tanto. L'anno prima, infatti, la Williams si era portata a casa il Grammy per la miglior interpretazione vocale femminile in Get Right With God, terzo grande riconoscimento, dopo quello vinto nel 1993 per la miglior canzone country con Passionate Kisses (interpretata però da Mary Chaplin Carpenter) e soprattutto quello vinto nel 1998 per il miglior album di folk contemporaneo con Car Wheels On A Gravel Road

Ed è proprio da questo disco che la carriera della Williams inizia a impennarsi: non solo per vendite, statuette e plausi della critica, ma soprattutto per un'eccellenza compositiva che, nonostante il tempo trascorso, si è mantenuta altissima anche ai giorni d'oggi. In queste tredici canzoni, infatti, si racchiude il meglio di tutto il Williams pensiero. Cantautrice, da un lato, legata alla tradizione (Bob Dylan e Robert Johnson, il Texas e la frontiera rappresentano il suo abbecedario formativo), dall'altro, però, capace di dotarsi anche di una efficacissima strumentazione elettrica, la Williams, con Car Wheels On A Gravel Road riesce a trovare il punto esatto di fusione di quel genere musicale che siamo soliti chiamare Americana, e cioè, per sommi capi, la sintesi fra sonorità roots (country, folk e blues) e rock.

Benedetto in fase di lavorazione da Steve Earle (che suona la chitarra anche in qualche brano) e co-prodotto da Roy Bittan, il quinto album in carriera di Lucinda è quello che si potrebbe definire apoditticamente un capolavoro: non c'è bisogno di spiegare nulla, basta ascoltare. Tredici canzoni che raccontano la storia del country rock a stelle e strisce, convogliando in sè decenni di musica con una consapevolezza e una chiarezza d'intenti che lascia di stucco. 

C’è tanto Sud in queste canzoni, e non poteva essere diversamente: Lucinda Williams è nata a Lake Charles, Louisiana, nel 1953, in una famiglia profondamente radicata alla propria terra. Suo padre, Miller Williams, era un noto poeta e professore di letteratura, e sua madre, Lucille Fern Day, era una pianista dilettante. I primi anni di Williams furono, però, all’insegna dell’instabilità, un viaggio continuo attraverso le strade del Sud degli Stati Uniti al seguito del padre che, per lavoro, era costretto a spostarsi continuamente. Questo stile di vita nomade ha esposto la Williams a una vasta gamma di culture ed esperienze che avrebbero poi influenzato il suo modo di scrivere canzoni. Una in particolare, e cioè quella che dà il titolo al disco, è l’esatto resoconto di quegli anni, una canzone autobiografica, in cui la Williams ricorda la propria vita attraverso una raccolta di immagini rurali del sud e della sua infanzia.

Car Wheels on a Gravel Road è un diario di viaggio del gotico meridionale, pieno di memoria e di perdita. La Williams canta di "campi di cotone che si estendono per chilometri" e "i pali del telefono, gli alberi e i cavi che volano via" mentre viaggia con i suoi genitori attraverso le terre del Sud.

Una canzone che è al contempo memoria (il vagabondare, visto attraverso gli occhi di una bimba, cristallizzato nell’immagine della strada sterrata) e anche agrodolce riflessione sull'instabilità e la transitorietà forzata (le ruote dell'auto). Un brano colmo di passione e malinconia, emotivamente destabilizzante non solo per la Williams ma anche per il padre di lei.

La songwriter, in tal senso, ricorda uno dei momenti più intensi della sua vita, quando suo padre, dopo uno spettacolo al Bluebird di Nashville, venne nel camerino a scusarsi. Era la prima volta, infatti, che ascoltava Car Wheels On a Gravel Road, e quelle immagini (i campi di cotone, l’odore del caffè, le uova e il bacon, l’omaggio a Loretta e Hank), gli fecero comprendere il dolore di sua figlia piccola, trascurata sul sedile posteriore dell’auto: "Guardo fuori dal finestrino. Un po' di terra mista a lacrime." Una canzone, questa, che, a detta della Williams, sgorgò come un flusso di coscienza, anche se negli intenti doveva essere tutt’altro. Durante un’intervista ad Uncut, la musicista, infatti, disse:” È stato il momento più sorprendente. Ed era agrodolce. Non sapevo il perché la stessi scrivendo, era una cosa legata al subconscio. Immagino sia strano come puoi sorprenderti per qualcosa che hai scritto tu stesso. Io pensavo di scrivere in terza persona, ma in realtà scrivevo in prima persona”.

Il brano fu registrato in parte al Room and Board Studio di Nashville e in parte al Rumbo Studio, Canoga Park, in California, con la supervisione dei produttori Steve Earle e Ray Kennedy. Nella canzone, che vede la Williams alla chitarra acustica, Gurf Morlix alla chitarra elettrica, Giovanni Ciambotti al basso e Donald Lindley alla batteria, si può ascoltare anche uno strumento particolare, suonato da Buddy Miller, chiamato mandoguitar. Questo strumento è caratterizzato da un corpo compatto simile a un mandolino abbinato a un manico di chitarra con corde di nylon. Questo forma anomala conferisce alla mandoguitar un tono versatile che può spaziare dai suoni brillanti e acuti del mandolino ai toni più morbidi e caldi di una chitarra.

Car Wheels on a Gravel Road fu accolto con ampi consensi da parte critica e ha vinto il Grammy Award come miglior album folk contemporaneo nel 1999. Oltre al successo della critica, il disco ha ottenuto anche un ottimo successo commerciale, restando nelle classifiche americane per oltre cinque mesi.

 


 

 

Blackswan, martedì 09/04/2024