sabato 28 gennaio 2017

PUNCH BROTHERS, I RADIOHEAD DEL BLUEGRASS




Il termine bluegrass fa venire in mente Bill Monroe, i Foggy Mountain Boys, i monti Appalachi e l’America più rurale, quella del Kentucky o del Tennesse, per intenderci. E’ stranissimo, allora, che uno dei gruppi più autorevoli delle ultime propaggini del genere, i Punch Brothers, siano di stanza a Brooklyn, divisione amministrativa della città di New York, che vanta una popolazione di quasi due milioni e mezzo di individui. Tra questi c’è anche il cantante e mandolinista Chris Thile, già militante nei Nickel Creek, che con il violinista Gabe Witcher, suo amico d’infanzia, fonda, nel 2005, un gruppo dal curioso nome di Chris Thile & The How To Grow A Band. Ai due amici, che nel frattempo si sono spostati a Nashville, si aggiungono ben presto il banjoista Noam Pickelmy, il contrabbassista Greg Garrison (che se ne andrà nel 2008 e verrà sostituito da Paul Kowert) e il chitarrista Chris Eldridge. Tutti e cinque questi ragazzi provano un amore viscerale per il bluegrass, ma hanno in testa anche tante idee innovative, che li portano a ripensare un genere tra i più stilisticamente rigidi della cultura musicale americana. Gli strumenti a corda della tradizione (banjo, mandolino, fiddle, chitarra acustica e contrabbasso) ci sono tutti e fin dall'inizio rappresentano un marchio di fabbrica del suono della band; tuttavia, i Punch Brothers, non si limitano a replicare le antiche sonorità roots, ma le rielaborano e le arricchiscono con originalità e fantasia, tanto che la loro musica viene fatta convogliare in quel filone, che fa storcere il naso ai puristi e che prende il nome di progressive bluegrass. 




Nei loro dischi, infatti, confluiscono folk, umori soul, azzardi di musica classica, sentori jazzy e luminosi barbagli pop, che pescano ispirazione addirittura dall’altra parte dell’oceano, guardando alla musica britannica dei primi Coldplay e, soprattutto, dei Radiohead, di cui i Punch Brothers eseguono numerose cover e con i quali condividono il gusto per la sperimentazione. Il primo album del gruppo, intitolato How To Grow A Woman From The Ground, esce nel 2006 e suscita immediatamente l'attenzione della critica specializzata, grazie a un suono ricco di quelle suggestioni, che nascono dalla contaminazione e dalla libertà espressiva con cui Chris Thile e soci affrontano la materia. Il disco è eterogeneo e stratificato, possiede un nucleo decisamente folk, dal quale si viene, però, continuamente deviati: insomma, l’America rurale è solo il punto di partenza verso soundscapes assolutamente innovativi, è uno spunto, importante quanto si vuole, ma non esclusivo o determinante. La band, che nel frattempo si è ribattezzata The Tensions Mountain Boys (omaggio alla tradizione dei citati Foggy Mountain Boys), cambia nuovamente nome, per assumere quello definitivo di Punch Brothers, in onore dell'opera A Literary Nightmare di Mark Twain. Nel febbraio del 2008, per la Nonesuch Records, esce Punch, disco di inediti in cui confluisce anche l’ambiziosa The Blind Leaving The Blind, suite in quattro movimenti, scritta e arrangiata da Chris Thile, e proposta dal vivo, per la prima volta, l'anno precedente, alla Carnagie Hall. 




E' la prova definitiva che la band e il suo leader puntano senza paura verso la sperimentazione più estrema, vogliono sorprendere, superando gli angusti steccati del genere. In tal senso la visione si amplia ancor di più, e i 42 minuti di The Blind Leaving The Blind, ostici per durata e complessità, sanciscono, attraverso un'improbabile, ma riuscitissimo crossover fra bluegrass, musica classica e jazz, la caratura tecnica e creativa di un gruppo sempre più difficile da etichettare. Il successivo Antifogmatic (strana parola che significa “toccasana”), viene pubblicato due anni più tardi, nel 2010, e prende il titolo da quelle bevande alcoliche (Rum, Whiskey, etc.) che una credenza popolare del XIX secolo riteneva avessero effetti medicamentosi per curare alcune patologie dovute al freddo e all'umidità. Se l'intento del titolo era quello di sottolineare l’effetto balsamico apportato al genere dalla carica innovativa della band, il risultato viene perfettamente centrato: le canzoni sono più corte, ma non per questo meno suggestive, e la tradizione, come sempre, cammina al fianco dell'inusuale e dell'imprevedibile (come, ad esempio, in Rye Whiskey, che inizia come una standard blues acustico per poi perdersi in una coda che lambisce l’improvvisazione jazz). Un'imprevedibilità, quella dei Punch Brothers, che induce molti critici a definire la band come una sorta di versione acustica dei Radiohead (di cui, peraltro, nella versione deluxe dell'album, compare una cover di Packt Like Sardines In a Crush'd Tin Box). 




Il successivo Who's Feeling Young Now?, pubblicato il giorno di San Valentino del 2012, rappresenta una sorta di consacrazione commerciale anche fuori dai canali roots: sia in patria, dove l'album arriva al numero 76 di Billboard 100, sia lontano dagli States, visto che la band comincia a essere seguita con attenzione in Europa e in Italia (merito dell'ottimo singolo Movement And Location). Ma a prescindere dai riscontri di vendita, le canzoni dei Punch Brothers continuano a stupire per inventiva e originalità, talvolta, screziandosi di cangianti filamenti jazz, più spesso ammantandosi di una brillante luce pop, che richiama alla mente certe sonorità britanniche contemporanee. Who's Feeling Young Now? risulta così un disco eclettico, ragionato ma al contempo leggero, a tratti, colorato, fresco e profumato di accenti primaverili, e tuttavia in grado anche di suggerire tenui malinconie autunnali. Oltretutto è suonato divinamente, con grazia e tecnica, ma senza alcun compiacimento, con la perizia, semmai, di chi sa come giostrare alla perfezione luci e ombre, pieni e vuoti, groove e digressioni strumentali. Tra le doverose citazioni, meritano senz'altro il podio la sublime Movement And Location, con la bella voce di Chris Thile a dettare i tempi e una tensione quasi mistica che ci solleva i piedi un metro da terra, la title track che procede per incalzanti stop and go, tingendosi di un'inconsueta colorazione alt-rock, e la cover, l'ennesima in carriera, di Kid A dei Radiohead, che quasi in chiusura dell'album ci regala un altro imprevisto sussulto. Dopo Ahoy, Ep uscito alla fine del 2012, i Punch Brothers attendono tre anni prima di pubblicare Phosphorescent Blues, quello che da molti è considerato il loro capolavoro e che, nel 2016, ha ottenuto ben tre nomination ai Grammy Awards nella categoria Americana. Con Phosphorescent Blues, i Punch Brothers azzardano un ulteriore passo avanti. Le sonorità bluegrass residuano, infatti, solo nella strumentazione classica (mandolino, contrabbasso, violino, chitarre acustiche e banjo) e in qualche raro momento, culminante nella splendida Bool Weevil; il resto del disco, invece, è una scommessa, peraltro, decisamente vinta. Si parte con Familiarity, che è la vera chiave di lettura dell'intero album: una suite di dieci minuti nei quali i Punch Brothers riescono a infilare di tutto, dalla musica da camera al folk, dal pop al soul, in un complesso susseguirsi di rimandi, in cui si riesce a scorgere perfino il Brian Wilson di Smile. Come per la citata The Blind Leaving The Blind, di primo acchito, tutto sembra scombinato e pretenzioso; poi, dopo ripetuti ascolti, si colgono l'audacia e il filo delle intuizioni che sono l'amalgama, non solo del brano, ma dell'intero album. Un disco, Phosphorescent Blues, che inizialmente perplime (la sensazione è quella di una certa arroganza alternative), ma che cresce a dismisura quando entriamo in sintonia con la logica che sottende alla scaletta: rinnovare la tradizione e giocare con le radici per vedere se l'innesto può produrre frutti succosi che profumino di musica classica come in Passepied (Debussy), di pop (le incantevoli Julep e I Blew It Off) e addirittura di funky soul (Magnet sembra uscire dalla penna di un Prince che ha a disposizione solo strumenti acustici). Al comando di una band, che risulta affiatata come non mai e che ribadisce le smisurate capacità tecniche (per verificare, andatevi a guardare i video delle loro performance dal vivo), continua a dominare la figura di Chris Thile, un artista poliedrico (conduce una parallela carriera di musicista classico), che possiede una voce angelica e che suona il mandolino come Gesù. Non è un caso, quindi, se alcuni momenti di Phosphorescent Blues vi appariranno celestiali. Per completezza di narrazione, giova precisare che a fine 2015, i Punch Brothers hanno pubblicato un altro Ep (Wireless), a conferma dello straordinario periodo creativo di una delle band più originali e innovative, oggi in circolazione. 





Blackswan, sabato 28/01/2017



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