domenica 31 agosto 2014

ROBYN LUDWICK – LITTLE RAIN




Robyn Ludwick è una di quelle artiste che, a dispetto di un luminoso talento, resterà per sempre relegata nel sottobosco musicale dove si aggira un numero ristretto di appassionati, quelli cioè che inesausti cercano sempre nuove sensazioni, a costo pure di raschiare il barile. Stellina in patria (Texas), apprezzata dalla critica specializzata, ma praticamente sconosciuta o quasi al resto del mondo, States compresi. La incontrai per caso nel 2011, durante un pomeriggio in cui ciondolavo inconcludente fra youtube e il web. Fu la copertina di Out Of These Blues, ai tempi la sua ultima fatica discografica, ad attrarre la mia attenzione, e da quella cover di blu intenso, a recuperare il disco fu un attimo. Ascoltai Hollywood, la prima canzone, e pensai subito che un brano così, anche da solo, sarebbe bastato a nobilitare una carriera. Il fatto poi che tutte le dodici canzoni del disco fossero dello stesso livello, che non vi fosse traccia di fillers, che una scaletta di cinquanta minuti e passa suonasse così intensa dall’inizio alla fine, aveva del miracoloso. Da qui la curiosità di sapere quale e quanta strada avrebbe fatto la Ludwick e, soprattutto, se in futuro sarebbe stata capace di ripetersi (con l’intima convinzione che si, ce l’avrebbe fatta senz’altro). Ho atteso tre anni e il tempo ha dato ragione alla mia intuizione. Robyn Ludwick è tornata con Little Rain che non sfigura affatto rispetto a Out Of These Blues ed è un disco davvero, davvero buono. Diverso dal suo predecessore, dal quale si discosta per un suono decisamente più scarno, più marcatamente roots music, e per gli arrangiamenti essenziali, eppure segnato ancora da un songwriting intenso e ispirato anche a livello testuale: storie di vite segnate dal lavoro e dalla solitudine della routine, racconti di amori consacrati al fallimento, uno sguardo disilluso sulla realtà di ogni giorno e una profondo senso di tristezza. La voce della Ludwick sussurra intimismo o arriva potente al cuore, ci ferma il respiro con il suo carico di quieta disperazione (Heartache è una delle canzoni più depresse che abbia ascoltato quest’anno), ci accompagna nei territori di un country soul maledettamente sincero (Breaks My Mind), ci travolge con un’urgenza che disarma (Stalker, Mama), sospende il tempo con un blues antico e carico di sofferenza (Honky Tonk Feelin’) e si concede perfino uno spiraglio di leggerezza che rinfranca (Somethin’ Good). Prodotto con sensibilità filologica da Gurf Morlix, che mantiene vivo il suono tradizionale senza però esasperarlo, suonato con misura da Rick Richards (batteria), John Ludwick (marito dell’artista texana al basso) e dalla stessa Robyn, alle prese con le chitarre, Little Rain è un disco crudo e diretto, il cui mood malinconico esalta il talento di un’artista che maneggia il suono americano con gusto inimitabile. Un’artista che meriterebbe ben altri palcoscenici e che vi invito con tutto il cuore a scoprire. Non ne rimarrete delusi.

VOTO: 8





Blackswan, domenica 31/08/2014

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