martedì 31 dicembre 2013

UN 2013 DAL VIVO : IL MEGLIO





3) COUNTING CROWS – ECHOES OF THE OUTLAW ROADSHOW
A non conoscere la caratura artistica dei Counting Crows e a essere un pò maliziosi, si potrebbe anche pensare che la band capitanata da Adam Duritz sia al raschio del barile. Dal 2002, cioè dai tempi di Hard Candy, i Corvi  hanno rilasciato un solo disco di canzoni originali (Saturday Nights & Sunday Mornings del 2008, peraltro composto di materiale datato). Per il resto, è stato un susseguirsi di album live (New Amsterdam e August And Everything After : Live At Town Hall ), di best of (Films About Ghosts) e da ultimo di una raccolta, ancorchè prestigiosa, di cover di brani altrui (Underwater Sunshine). Oggi, i Counting Crows tornano sulle scene e, un pò a sorpresa, lo fanno con l'ennesimo disco live, composto di canzoni registrate durante il loro tour americano del 2012. Verrebbe quindi da storcere il naso e soprassedere dall'acquisto di un disco che probabilmente, appare quasi scontato, nulla aggiunge a quanto già di buono conosciamo della band americana. Eppure, chi ha sempre seguito i Counting Crows, sa benissimo che la dimensione live è quella in cui il gruppo si esprime al meglio e soprattutto sa, dopo aver ascoltato l'ultimo lavoro in studio uscito lo scorso anno, che ci troviamo di fronte a una band che vive il suo stato di grazia, a prescindere da una certa carenza creativa. Per questo, nonostante tutti i legittimi dubbi della vigilia, Echoes Of The Outlaw Roadshow si rivela invece un gran bel disco, suonato al meglio da sette musicisti, perfettamente a loro agio nel gestire l'alternanza fra suono elettrico e acustico, e nel dosare in parti eguali cuore e tecnica. Anche la scaletta è ben studiata ed evita con cura i luoghi comuni del greatest hits live. Round Here c'è e non potrebbe essere altrimenti : non è solo la magnifica canzone che tutti conosciamo, ma è soprattutto una sorta di condivisa catarsi musicale, un rituale imprescindibile che lega i Counting Crows ai propri fans fin dalla notte dei tempi. A renderla magica, non è solo la strabiliante melodia, ma il modo sempre diverso con cui Duritz la propone, cambiando gli accenti al cantato, dilatandone i tempi, intridendola di soul oppure, come nel caso specifico, sporcandola di rock. L'unica altra canzone tratta da August and Everything After è Rain King, mentre il resto della scaletta pesca da tutti gli altri album più o meno in egual misura. Citazione a parte merita la cover di Girl From The North Country di Bob Dylan con cui il disco ha inizio e che Duritz reinterpreta con rara e ispirata commozione. Da brividi.

2) NICK CAVE & THE BAD SEEDS – LIVE FROM KCRW
Abbandonate (o solo accantonate) le asprezze noise targate Grinderman, il nuovo Nick Cave ha dato alla luce, a inizio anno, a un disco, Push The Sky Away, dall’andamento sommesso, composto di canzoni che si muovono con passo felpato attraverso atmosfere spesso rarefatte, celando la propria crepuscolare bellezza nell'ipnotica omogeneità di suoni distanti dal consueto repertorio dell’ultimo re inchiostro. Insomma, un ritorno alla ballata, al pianoforte, ad atmosfere tristi e malinconiche, a una scelta stilistica figlia delle derive cinematografiche vissute da Cave a fianco del fedele Warren Ellis. Questo Live From KCRW ricalca in toto, con l’eccezione della conclusiva, scalciante, Jack The Ripper tratta da Henry’s Dream del 1992, le sonorità di Push The Sky Away ed è costituito da una scaletta di canzoni suonate in modo intimista, in un contesto raccolto, innanzi ad un pubblico di centoottanta fortunati invitati per l’occasione. Registrato presso gli studi californiani della KCRW e mixato magistralmente da un santone come Bob Clearmountain (Rolling Stones, Bruce Springsteen, Tears For Fears, Tori Amos, tra gli altri), il concerto si sviluppa attraverso ballate in cui a farla da padrone è la voce profonda e tormentata di Cave, sorretta ottimamente da organo, pianoforte, basso, chitarra e batteria, utilizzati sempre in chiave elettro-acustica. Un disco suonato con precisione dai Bad Seeds, in cui però la perizia tecnica non fa mai venir meno la tensione emotiva che pervade di febbrile lirismo le dieci tracce dell’album (dodici nella versione in vinile, in cui compaiono pure Into My Arms e God Is In The House). Una performance così tanto convincente da farci sbilanciare affermando che questo è il miglior disco dal vivo di Cave, migliore di Live Seeds (1993) e perfino del già notevole The Abbatoir Blues Tour (2007). E' davvero difficile trovare il meglio in un filotto di canzoni tutte egualmente appassionate. Ma l’iniziale Higgs Boson Blues, uno dei brani più riusciti di Push The Sky Away insieme a Jubilee Street (purtroppo qui assente) e la disperata The Mercy Seat, eseguita per pianoforte, violino e voce, valgono da sole il prezzo del biglietto. Un disco dannatamente bello, anzi bellissimo.

1) RY COODER & CORRIDOS FAMOSOS – LIVE IN SAN FRANCISCO
Sembrava incredibile che uno dei più grandi musicisti e compositori del secolo scorso, in attività fin dal lontano 1965, si fosse limitato a un solo live in più di quarant'anni di carriera. L'unica testimonianza di Cooder on stage, infatti, si intitola Show Time, è stato pubblicato nel lontano 1977, e contiene registrazioni tratte da due live act tenutisi al Great American Music Hall di San Francisco, le notti del 14 e 15 dicembre del 1976. Oggi, a distanza di ben 36 anni, l'immenso chitarrista di Santa Monica torna finalmente con un nuovo disco dal vivo e, guarda caso, registrato ancora a San Francisco e ancora nello stesso teatro, questa volta però il 31 agosto e il 1 settembre del 2011. Della line up di quel lontano show del '77 ci sono nuovamente Flaco Jimenez (alla fisarmonica) e Terry Evans (ai cori), che nello specifico vanno a integrare un numerosissimo parterre de roi, composto dai Corridos Famosos (tra cui anche Joachim Cooder alla batteria e Robert Francis al basso) e La Banda Juvenil, big band messicana di dieci elementi che aveva già acconpagnato Cooder nella registrazione dell'ottimo Pull Up Some Dust And Sit Down (2011). In scaletta, alcuni classici già presenti nel disco del 1977 (Volver,Volver, School Is Out, The Dark End Of The Street), brani più recenti (il reggae'n'gospel sincopato e tarantolato di Lord Tell Me Why) e alcune cover, tra cui la celeberrima Goodnight Irene, traditional portato al successo da Leadbelly, e uan rilettura in chiave elettrica di Vigilante Man di Woody Guthrie, con la chitarra di Ry davvero sugli scudi. Tuttavia, non è solo un filotto di canzoni strepitose, che fondono in un abbraccio indissolubile rock, americana, blues e folk mariachi, a rapirci tanto il cuore quanto le orecchie. Ciò che davvero incanta di questo live denso, umorale, e variegatissimo, è la caratura tecnica dei musicisti all'opera e l'inaudita qualità dell'esecuzione. In queste dodici tracce infatti ci sono proprio tutti gli elementi che rende leggendaria una performance live: un suono calibrato e impetuoso, la perfetta coesione e interazione fra tutti i componenti della band, una tecnica mostruosa (d'altra parte, stiamo parlando di gente che suona con Ry Cooder, mica pizza e fichi), e soprattutto un trasporto e un'intensità tali, da trasformare in momenti di gioioso ascolto anche le pause fra un brano e l'altro, quando Ry presenta le canzoni e scherza col pubblico. Live in San Francisco contiene numerosi episodi davvero indimenticabili (tra gli altri, The Dark End Of The Street, Wooly Bully e la graffiante Crazy 'bout an Automobile), tanto che, se volessimo abbandonarci al compiacimento dell'iperbole, verrebbe da dire che questo è uno dei dischi live più belli del nuovo millennio. Dal momento invece che voglio mantenere un profilo decisamnete più basso, chioso la recensione parafrasando una fulminante battuta usata da Carlo Verdone in una mitica scena del film Io e Mia Sorella: "n'artro pianeta!". Le canzoni, Ry Cooder e questo disco.





Blackswan, martedì 31/12/2013

4 commenti:

mr.Hyde ha detto...

Grandioso il numero 1! Sono d'accordo con te : Ry Cooder è un artista eccezionale.
Immagino che gli altri due album siano sicuramente da ascoltare (Nick Cave e i Counting sono una garanzia.
Intanto auguri per un felice 2014!!

Bartolo Federico ha detto...

Rock dannatamente bello, per noi "vecchietti". Ma che non parla piu' ai giovani. Per come la vedo, sarà dura la sua strada per la soppravvivenza. Molto dura. Un abbraccio e buon anno, a te e ai tuoi lettori.

Irriverent Escapade ha detto...

Approfitto de "Il meglio" per augurartelo in questo nuovo anno che sta per arrivare...nei prossimi giorni, mollo la Belva al papi e recupero un po' di ascolti...quanto alle letture, ci vediamo sicuramente il 24: prepara la penna che voglio autografo con dedica.
Baci & Auguri a te e tutti

PS Giovanni lo sa già...ma se Bartolo e lui vengono a presentare il loro libro all'Orablú, devono preparare la penna anche loro !!

melonstone ha detto...

tra le cose più memorabili che sin qui ho fatto nella mia vita, di certo vedere dal vivo i Counting Crows l'estate scorsa a New York entra nella Top Ten. Ok, come sai caro Blackswan, io sono un fan, ma anche con il distacco imposto non posso che dire di aver presenziato ad un concerto unico, che solo i CC possono proporre. I Counting di oggi sono una band a 360°, che sanno fare rock e folk allo stesso tempo con una maestria unica. Da musicista, mi chiedo come sia possibile una simile versione di Round Here: è provata prima? E' improvvisazione? Come riescono ad assecondare il talento di Adam e le sue impennate? Tutti e sette sono meravigliosi musicisti, compreso l'ultimo fantastico acquisto alla batteria: superlativo. Ho pianto ed ho cantato, con mia moglie in viaggio di nozze. davanti a me, i Counting Crows